E se ne stava lì, con le narici fumanti e gli occhi gialli su di me, tranquillo ma intimamente incazzato... tra le fauci un brandello rosso, resto dell'ultimo pasto. Sopra gli artigli, affondati nella roccia, muscoli tesi pronti al salto. Dietro di lui un cielo nero come la pece, il suo preferito.

giovedì, ottobre 04, 2007

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La grande Milano
Maurizio Blondet
03/10/2007


L’ambiente: uno dei sobborghi milanesi che la pubblicità dichiara «immersi nel verde», forniti di «piscina condominiale e minigolf».
Abitato da famiglie di una certa borghesia benestante o quasi, che ha scelto quel posto per allevare i figli «nel verde».
Prima lezione di catechismo, il sacerdote - che ha chiesto ai genitori di essere presenti - per rompere il ghiaccio, chiede: «Bambini, qual è la manifestazione di felicità che avete visto di recente?». Silenzio.
Poi un ragazzino alza la mano: «Due mesi fa è morto il nonno. E la mamma era proprio contenta».
Altra scena, dal fioraio del quartiere modello.
Una signora chiede a un’altra, molto ben vestita: «Belli quei fiori. Come si chiamano?».
L’altra guarda il cartellino e risponde: «Recisi».
Due signore al parco-giochi per bambini, naturalmente immerso nel verde.
Una delle mamme, firmatissima, dice di aver comprato per sua figlia una coppia di Hamstel; che i piccoli roditori avevano figliato, «ma poi li ho dati via».
E perché?
«Perché sono entrati in cattività ed hanno mangiato i loro piccoli».
«Cattività» non significa, come crede la signora griffata, che gli animali diventano cattivi; significa nati in prigionia, in latino «captivitas».
Non so quanto sia diffusa questa vacuità e ignoranza nel resto d’Italia, fra quel tipo di borghesia «moderna» con gli attici immersi nel verde; posso giurare che Milano non è sempre stata così.


La domanda è: nel mondo globalizzato, per quanto tempo italiani e milanesi con istruzione e conoscenze (non si dice cultura) da terzo mondo potrà avere o pretendere stipendi da primo mondo?
Non è nemmeno giusto.
E difatti, il benessere di quei quartieri si consuma insensibilmente, col potere d’acquisto e con il declino della città e delle sue opportunità.
Qualche marito con buona posizione ha perso il lavoro.
Qualche mamma firmata ha cominciato a fare la spesa da Lidl, il discount tedesco, anziché da Esselunga.
Le possibilità di lavoro ben pagato si restringono come un fazzoletto lavato.
Sempre più difficile reggere il tenore di vita, e il confronto coi vicini presunti benestanti.
Alcune coppie hanno fatto la consueta settimana alle Maldive con un prestito della banca.
Non vorrei girare il coltello nella ferita, ma pare che il numero dei suicidi sia in aumento, in quel quartiere silenzioso e lontano da tutto, dove le mamme firmate vivono tutto il giorno con i loro bambini, portandoli in auto dalla scuola al corso d’inglese, da quello alla lezione di judo o di piano. Tre giorni fa una signora, mamma di una bambina di otto anni, s’è gettata dal grande balcone del suo bell’appartamento, al sesto piano di una delle torri condominiali.
Purtroppo per lei, il quartiere è immerso nel verde: gli alberi hanno attutito la caduta, è sopravvissuta con tre vertebre rotte, forse resterà paralizzata.


Altro quartiere, dalle parti di viale Zara, periferico, piccolo-borghese.
La titolare di una lavanderia racconta, tremando ancora, di aver ricevuto la visita della Guardia di Finanza.
Mi spiega che ad ogni cliente che le porta un maglione da lavare a secco o un abito da smacchiare lei rilascia una «bolla» dove è specificato il tipo di capo; al momento della consegna del capo lavato, lascia scontrino fiscale e ritira la «bolla»; ed è obbligata a conservarle tutte.
Le Fiamme Gialle hanno confrontato centinaia di bolle con centinaia di scontrini, uno per uno, con una lena che piacerebbe vedere usata verso i grandi studi professionali.
Hanno trovato delle discordanze (forse qualche scontrino non battuto, forse perduto) e l’ha punita come si deve per evasione fiscale: 5 mila cinquecento euro di multa (due mesi dei miei guadagni, dice lei), e la chiusura del negozio per dieci giorni, con tanto di sigilli giudiziari.
Non può entrare nella sua proprietà, in cui ha lasciato oggetti personali che le servono.
«E’ stato un mese terribile», dice la titolare della lavanderia (di cui è anche l’unica lavorante).
Tre giorni prima della visita della polizia tributaria, ha ricevuto la visita di rapinatori: erano slavi, forse quei rom nuovissimi cittadini d’Europa.
Le hanno portato via l’incasso della giornata, e peggio, le chiavi dell’auto, con la quale poi sono partiti a razzo, scomparendo.
I poliziotti, arrivati mezz’ora dopo dal vicino commissariato, hanno allargato le braccia e le hanno detto di andare a fare la denuncia, per quel che serve.
Siccome lei abita lontano, a San Colombano, e non ha più l’utilitaria, prende il pullman, affollato soltanto da extracomunitari: confessa di aver paura.
Potrò detrarre il danno del furto dalla dichiarazione dei redditi?
Chiede senza speranza.
Ovviamente no: lo Stato che non la protegge vuole tutti i soldi fiscalmente dovuti, anche quelli perduti.


La signora ha la sensazione di essere stata rapinata due volte e dallo stesso potere.
Ma naturalmente non è così.
E’ la giustizia tributaria che trionfa.
E’ la Grande Milano.

Maurizio Blondet